Un mandala intessuto di storie

“Le Parole per dirlo” è il titolo di un progetto-contenitore, di ampio respiro e che prevede, con lo stesso nome, caratteristiche e finalità, azioni diverse, ciascuna delle quali “tagliata su misura” sul target, cioè sui partecipanti. Un’azione che è ormai diventata il nostro fiore all’occhiello è il percorso di educazione ai sentimenti rivolto a docenti, genitori, educatori e chiunque sia interessato, che si svolge al Palazzetto Urban, sede concessa dal Comune di Napoli che patrocina il progetto. Quello di quest’anno si è appena concluso (il 2 marzo). Il percorso si è articolato in cinque step, cinque incontri focalizzati sulla centralità del corpo. Come sempre abbiamo messo al centro dell’attenzione il vissuto emotivo e la percezione che ne abbiamo, attraverso le storie, le nostre e quelle narrate nella letteratura e nell’arte. Ma nello specifico abbiamo esplorato il linguaggio corporeo, che è allo stesso tempo evidente e nascosto, cercando di imparare a “leggere” la postura e il movimento.
Nei primi due incontri abbiamo scritto lettere molto particolari: una a una parte “forte” del proprio corpo e una a una parte “debole” o “ferita”. Le abbiamo scritte a partire da brani tratti da “Donne che corrono con i lupi” di Camilla Penkola Estes e “Hotel Silence” di Audur Ava Olafsdottir, da video della Candoco Dance Company e di Claudia Marsicano, artisti speciali, con una visione del corpo straordinaria, che materializzano sulla scena integrazione e accettazione, inclusione e relazione creativa. Poi abbiamo ascoltato la dott. Maria Vittoria Formisano che ha illuminato il rapporto tra postura e psiche con i racconto della sua lunga esperienza di fisioterapista psicologa. E questo ci ha fornito elementi indispensabili per proseguire il nostro lavoro e cioè affrontare il nodo del “corpo del personaggio”. E cioè abbiamo cercato di visualizzare e soprattutto “sentire” con il nostro stesso corpo il corpo del personaggio. Questo perché lo scrivere dal punto di vista del personaggio, oltre ad essere uno strumento di studio letterario, è anche strumento potentissimo di introspezione e consapevolezza di sé. Abbiamo quindi letto il brano de “I promessi sposi” riguardante Gertrude, in cui la ragazzina, rea di aver messo in dubbio la sua vocazione alla monacazione, viene rinchiusa dal padre con una vecchia governante e sperimenta una prigionia peggiore del monastero. Viene inoltre intercettato un suo biglietto indirizzato a un paggio, cosa che scatena le ire paterne e la fa subito rientrare nei ranghi. A partire da questa situazione di oppressione e prigionia, abbiamo scritto dal punto di vista di Gertrude, individuando una parte del corpo precisa e le sensazioni fisiche che questa parte provava e condiviso le nostre scritture. Ne sono emersi racconti e storie personali,in particolare sul rapporto con il padre e su relazioni sentimentali o scelte non accettate in famiglia. Nell’ultimo incontro abbiamo invece lavorato sul personaggio di Emma Bovary. Abbiamo letto il brano in cui Flaubert descrive come Emma “vede” Parigi nei suoi sogni, come passeggia con l’immaginazione seguendo le strade con il dito su una cartina, come fantastica sull’amore passionale sempre collegato a un lusso scintillante. Come sia “cieca” di fronte alla realtà vicina e come la sua mente sia sempre proiettata lontano, altrove. Abbiamo visto un video,il trailer di una coreografia di Akram Khan e Juliette Binoche, che sembra rappresentare, in una scenografia spoglia, quindi solo con la forza espressiva del corpo, un legame passionale e conflittuale. E poi…abbiamo scritto. Scrittura libera ascoltando il Bolero di Ravel. Il gruppo, dimentico di virus, quarantene e paure varie, si è espresso al meglio. Ciascuno ha scritto dei suoi sogni, quelli antichi, rivisti, sezionati, spezzati, resilienti come poche cose nella vita, con la leggerezza del sollievo, con il piacere di condividere senza sentirsi giudicati. E il mandala? Per salutarci abbiamo costruito un bellissimo mandala, componendolo con fiori, candeline, carta colorata: la tela tessuta dalle nostre storie, dalle emozioni che abbiamo condiviso, specchio di un gruppo che lavora per imparare a essere gruppo, in continua crescita

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