“Dialoghi col vulcano” di Ersilia Saffiotti Colonnese ed.

“Di avere combattuto e perso. Questo conosciamo”

Piccolo e prezioso, questo volumetto, scrittura d’esordio di Ersilia Saffiotti. Non si tratta di un romanzo e nemmeno di una raccolta di racconti, anche se le storie ci sono e sono di quelle che aprono il sipario su una vita piena di amore, dolore, difficoltà e lotta. Si tratta, invece, di una raccolta di scritture, ben radicate nell’autobiografia, cioè nell’esperienza del vivere dell’autrice, in cui il Vesuvio, il grande e terribile padre di noi napoletani, gioca il ruolo fondamentale di interlocutore, nella forma nobile del dialogo, come dice nella bella postfazione Ferdinando Tricarico. Il Vesuvio parla e risponde all’io narrante, che chiama amorevolmente Nennella, secondo il modello della filosofia antica, cioè per procedere verso la conoscenza di una qualche verità. Quale è presto detto: la verità su sé stessa e sul proprio rapporto col mondo.

La scrittura di Ersilia Saffiotti è densa, va dritto al punto e il punto è la propria esperienza emotiva. All’inizio leggiamo che “si scrive più con la pancia che con la testa” e che “la storia viene dal sangue, la impasti sangue e criscito e la metti a riposare”. Quindi per scrivere una storia bisogna scorticarsi, fare uscire il sangue, non cedere all’impressione e mettersi a guardare.

E nelle storie, come incastrando tessere di un mosaico, possiamo intravedere immagini, punti focali, snodi di un’esistenza.

La protagonista è una “runner”, cioè corre. È la prima cosa che apprendiamo. Poi scopriamo che ha iniziato a correre per smettere di fumare e che fumava perché il fumo aiuta a ingoiare tutto quello che non si vorrebbe. Scopriamo che di professione è avvocata, di quelli che ama la giustizia e difende i derelitti. Che è una donna che non riesce a passare davanti a una persona che piange senza fermarsi. Che c’è una malinconia sempre presente e che “la malinconia è il rammarico di non poter contenere tutto…” , e senza la malinconia “non riusciresti ad amare profondamente le persone”.

Il racconto di una causa, vinta eppure persa, resta centrale in questo libro, constatazione amarissima eppure non disperata di un mondo che ostinatamente non va come vorremmo, nonostante, con tutte le nostre forze, lottiamo per realizzarlo. “Di avere combattuto e perso. Questo conosciamo”.

Tutto con Napoli non solo sullo sfondo, ma presente e viva, città con cui continuamente la narratrice interagisce, senza farne idolo svuotato di realtà o ritratto iper-realistico ugualmente falso. Tutto con la lingua napoletana usata naturalmente come la propria lingua (c’è anche un bellissimo decalogo per il runner, tutto in napoletano) e naturalmente mescolata all’italiano.

Nella curatissima edizione di Colonnese i dialoghi col vulcano sono undici, undici episodi arricchiti di una pagina introduttiva, poetica ed evocativa, costituiti da una frase, che poi ritroveremo leggendo, e da un piccolo disegno di Gaetano Gravina, che annunciano il racconto successivo.

Si tratta, alla fine, di una scrittura emozionale ed emozionante, come dice Gigliola De Feo nella prefazione qui “la scrittura scorre libera dall’anima alla penna”. Ed è per questo che al lettore arriva dritta al cuore.

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